Arte&Donne, un viaggio nell’universo femminile della sensualità: educare alla sguardo culturale

… Che il mio tempio muova gli uomini come li muove l’oggetto amato… se sapessi che cos’è
per me il piccolo tempio costruito per Erme, a qualche passo di qui. Laddove il passeggero vede solo un’elegante cella – ben poco: quattro colonne in semplicissimo stile – io ho posto il ricordo d’un giorno chiaro della mia vita. O dolce metamorfosi! Quel tempio aggraziato, nessun lo sa, è l’immagine matematica d’una fanciulla di Corinto amata felicemente. E ne riproduce fedele le minime proporzioni. E vive per me, rendendomi ciò che gli diedi…- Ecco, risposi, perchè la sua grazia è inspiegabile e vi senti una presenza umana, primizia di fiore femminile, armonia d’un essere incantevole…

E’ attraverso questa citazione – tratta da Eupalino o l’architetto di Paul Valery – che desidero iniziare questo viaggio nella sensualità femminile, nel rapporto tra l’arte e le donne. Allegorie della natura e del sacro. Tracciare un sentiero che, attraverso i secoli, ci porta sino alle panchine rosse; simbolo di denuncia del triste fenomeno del femminicidio. Perché il nostro rapporto con il “femminino” è più profondo e ancestrale di quanto possa sembrare.

In un momento storico, in cui la mercificazione irreversibile e il consumismo iconografico – che produce tra l’altro la perdita di significati autentici – riduce la donna a oggetto di consumo a rapida obsolescenza, è necessario riproporre alcune visioni prospettiche che ha prodotto l’arte nel tempo. Il corpo della donna è funzionale all’esaltazione della bellezza effimera. Usato nella pubblicità come attrattore temporaneo. Sempre giovane, sinuoso, ammiccante, erotico, qualche volta irraggiungibile. La donna non è più luogo, terra, casa, tradizione, liturgia, femmina. Al contrario è oggetto, pregiudizio, preda e discriminazione. Qualche volta strumentale o strumentalizzata. Stupri, molestie, morte. Un atlante macabro di notizie che rimbalzano nei social per sfamare quel desiderio malato di notizie orride. Poi i paradossi – tutti da verificare – di Asia Argento, vittima o carnefice?

Esiste un’iconografia che ha definito il concetto di donna e di bellezza nell’arte, esplorata da molti artisti. L’archetipo è sicuramente un’opera di Fidia. Chi non rimane incantato, dal panneggio bagnato, di Venere. Una dea sensuale, distesa nella parte più carica di tensione, sul frontone del Partenone di Atene. Avvolta da un drappeggio che nasconde un giardino prezioso. Vibrante di carne e scolpita di bianca pietra. Erotismo sottile. Dea, donna, madre.
E che dire di quelle donne che sovrastano i sarcofagi etruschi. Sempre nella stessa postura della Venere fidiana. Una di queste è il sarcofago di Seianti Hanunia Tlesnasa, portatrice di identità e nobiltà. 

Il cristianesimo, tra i parabolani di Cirillo Vescovo – che straziano a colpi di pietra, la scienziata Ipazia – e l’iconografia medievale – che è ben rappresentata nella narrazione di Umberto Eco nel Il Nome della Rosa –  descrive una donna quasi mistica, spesso rappresentazione del bene spirituale (la madonna) o del male terreno (il demonio). Dante e Petrarca rifiniscono meglio il concetto. 

A dire il vero, sull’universo femminile, anche Omero e i Micenei (Ulisse, Achille, Agamennone e Paride) danno il loro contributo in termini di pregiudizio e discriminazione. Vogliamo parlare del gineceo – luogo riservato della casa greca – in cui dovevano stare le donne? O di Elena? Meglio la cultura minoica di Arianna, che decide di lasciare l’isola di Creta e rompere con le tradizioni (rappresentate dal Minotauro, anche se il bello Teseodelude le sue aspettative). In un ambiente culturale – quello minoico – in cui le donne erano emancipate e inserite a pieno titolo nella società, libere di esprimersi. La scultura votiva della Dea dei serpenti (a seno nudo)  e le pitture delle Tauromachie ne sono una testimonianza.

Dobbiamo aspettare il Rinascimento per ritrovare il nudo femminile e il senso classico di bellezza. Botticelli con le sue donne, lontane dalla perfezione anatomica e idealizzata di Fidia, ma cariche di una malinconia avvolgente. Giorgione e Tiziano, con figure di Veneri distese e immerse nella natura; una dormiente e l’altra vividamente presente. Due modelli che si rifanno a Fidia ma declinati con una rinnovata sensualità e morbidezza. Finalmente una donna che racchiude tesori preziosi. Le loro mani coprono pudicamente il pube e lo sfiorano fino a fare intravedere altro.

Ma dal ‘700 in poi tutto cambia. Da Boucher (Ragazza distesa), che gioca maliziosamente con il corpo femminile passando per Goya (La Maja Desnuda) e Canova (Paolina Bonaparte), fino all’arte moderna di Manet (Olimpia), Picasso (Grande Nudo), Modigliani (Nudo Rosso 1917) e Matisse (Blu Nudo ) e ne stiamo tralasciando tanti altri. 

Quello che lega queste opere, tra loro, è l’assonanza con l’Afrodite di Fidia. La riproposizione dello stesso schema compositivo. Donna sdraiata, nuda che fissa l’osservatore. Una tempesta di curve, drappeggi e fondali. Da Dea a prostituta. Dal corpo morbido della Venere di Tiziano alla titanicità michelangiolesca delle donne di Matisse e Picasso. L’erotismo di Modigliani, malizioso e carnale. La nobiltà di Canova, con Paolina Bonaparte che si copre e si scopre, il seno nudo.
Il seno dell’Afrodite di Fidia è velato. Appena visibile, ma succoso e irriverente. Una bellezza in purezza che trasuda sacralità e sensualità. Ogni opera è un tributo alla donna. Uno sguardo al mondo femminile come portatore di identità. Canone di bellezza universale e inviolabile. Madri, dee, donne, figlie. Terra bagnata, spuma di mare, essenza divina e fuoco di passione.

I luoghi appartengono alle donne, si identificano con le donne. Anche sull’acropoli dell’antica Ibla Major (Paternò) si sono stratificate figure di donne – come in tante città del mondo. Gea la madre terra, la Venere del Pervirgilium Veneris, la Madonna nera bizantina, Bianca di Navarra, Eleonora d’Aragona, Sofonisba Anguissola, Santa Barbara. Bisogna fidarsi delle donne. Nessuna mercificazione o idealizzazione ma il riconoscimento della bellezza, oltre la dimensione estetica e formale. Una bellezza universale che l’arte ha celebrato nei secoli, non a caso come allegoria dell’universo  e della natura. Per questo dobbiamo “educare” le nuove generazioni attraverso l’arte. Accompagnarli in questo viaggio nella sensualità, attraverso l’educazione allo sguardo culturale. Spesso la sensualità viene sostituita con la voracità, questo dobbiamo evitare. L’arte ci rende miti e predisposti all’incontro curioso.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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