Mafia, 41 anni fa l’omicidio Impastato: ricordo di Peppino che non temeva la mafia ed esaltava la bellezza

“Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”. E’ la lezione di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia 41 anni fa, il 9 maggio 1978. Il suo sogno-profezia resta attualissimo. Come quello di Paolo Borsellino, così simile: “Questa terra diventerà bellissima”. Bruttissima per loro è la mafia, per Paolo insopportabile “puzzo del compromesso”, per Peppino “una montagna di merda”. C’è un cammino da fare, però, che, certo, non è eterno, ha detto una volta Giovanni Falcone, perché la mafia è una maledizione che ha dentro la sua fine. Un percorso che tutti devono intraprendere. Sono quei ‘Cento passi’ che possono segnare la differenza. E che un corteo rinnovato anche quest’anno, da Radio Aut (Terrasini) a Casa Memoria Felicia e Peppino impastato (Cinisi), vuole continuare a compiere per solcare un ‘campo’ che non si vuole lasciare agli uomini del disonore.
A Cinisi, paesino siciliano schiacciato tra la roccia e il mare, nei pressi dell’aeroporto, dove decollava il traffico di droga, quel breve incedere separa la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti; storie di diversissimo genere, eppure della stessa Sicilia. Ragazzo intelligente che non accetta il silenzio opposto al suo sforzo di capire, nel 1968 Impastato si ribella come tanti giovani al padre. Ma il suo ha precisi legami e parentele. Per Peppino la ribellione diventa sfida allo statuto della mafia e ha un prezzo altissimo.
Con “Radio Aut” che infrange il tabù dell’omertà e con l’arma del ridicolo che distrugge il clima riverenziale attorno alla mafia, Tano Badalamenti diventa “Tano Seduto” e Cinisi, dentro questa ironia durissima, è “Mafiopoli”, emblema di una criminalità organizzata sempre più sistema, con la sua fitta rete di alleanze a vari livelli e interessi. Impastato si presenta alle elezioni comunali, ma due giorni prima del voto, nella primavera del 1978, lo fanno saltare in aria sui binari della ferrovia con sei chili di tritolo. L’assassinio coincide con il ritrovamento a Roma del corpo di Aldo Moro e viene rubricato come suicidio o atto terroristico. Solo venti anni dopo la Procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell’assassinio.
Il regista Marco Tullio Giordana nel 2000 racconta tutto questo con un film, “I cento passi”, che ridesta nel Paese la passione e l’indignazione per questa storia, facendo conoscere anche la figura eccezionale della madre di Peppino, Felicia, fragile e fortissima, una lama di cristallo conficcata nel cuore della mafia antica, morta il 7 dicembre 2004, a 88 anni: tiene alto come un vessillo la memoria del figlio e, durante il processo, punta il dito e lo sguardo contro il feroce boss Tano Badalamenti collegato in videoconferenza.
L’11 aprile del 2002, dopo 24 anni, così, arriva la condanna all’ergastolo del capomafia che spazza definitivamente via i tentativi di depistaggio cominciati già la mattina di quel 9 maggio. I giudici della terza sezione della Corte d’assise, presieduta da Claudio Dall’Acqua, giudice a latere Roberto Binenti, spiegano nelle motivazioni della sentenza che “il pericolo costituito da tanta irriverente ed irritante rottura del muro dell’omertà era vieppiù palpabile da far ritenere che la soluzione del problema fosse necessaria ed anche impellente, stante peraltro che il giovane di lì a poco, secondo attendibili previsioni, sarebbe stato eletto consigliere comunale”. Il boss è raccontato e sbeffeggiato da Impastato attraverso le frequenze della sua radio: “Ci sarà anche un porticciolo bellissimo, già in costruzione e potremo sistemare le nostre veloci canoe che porteranno al di la’ del mare la sabbia bianca, tabacco, bianco come la neve”.
La connessione tra il suo assassinio e il boss è per la prima volta rilanciata con forza nel maggio del 1984, quando l’Ufficio istruzione di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata da Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però a ignoti. Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume “La mafia in casa mia”, e il dossier “Notissimi ignoti”, indicando come mandante del delitto Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni per traffico di droga a New York, nel processo alla “Pizza Connection”.
Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 decide l’archiviazione del “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. Nel 1998 in Commissione parlamentare antimafia si costituisce un comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio. Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise riconosce Vito Palazzolo colpevole e lo condanna a 30 anni di reclusione. L’anno dopo arriva l’ergastolo per Badalamenti. Nel 2010 le chiavi della sua casa sono consegnate all’Associazione culturale Impastato.
Cento passi non sono stati percorsi invano.

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