Dopo l’ergastolo a Mancuso si cerca il complice ‘Ignoto 1’: il delitto di Valentina ‘vestito’ da suicidio

Dopo l’ergastolo a Mancuso si cerca il complice ‘Ignoto 1’: il delitto di Valentina ‘vestito’ da suicidio

Un complice dell’omicidio manca ancora all’appello.

Ieri la notizia della convalida della condanna all’ergastolo di Nicola Mancuso, trentaseienne di Adrano che, il 24 luglio 2010, uccise la diciannovenne biancavillese Valentina Salamone, il cui corpo è stato ritrovato senza vita in una villetta alla periferia di Adrano. Il 19 aprile scorso, l’imputato era stato condannato dalla Corte d’Assise di Catania e aveva presentato ricorso, rigettato dalla Corte di Cassazione.

La notizia è stata così commentata dal legale della famiglia Salamone, l’avvocato Dario Pastore:

«Dopo dodici anni finalmente la parola fine a questo processo, con una sentenza che rende giustizia alla verità».

Rimane da identificare il complice di Mancuso – chiamato Ignoto 1 –, il Dna del quale è stato ritrovato dai carabinieri del Ris di Messina sotto la scarpa sinistra – le zeppe nere in sughero prestatele dalla sorella per la festa nella villetta – della ragazza. «Intanto ne abbiamo assicurato uno alla giustizia», dichiara al Corriere Etneo Agnese Virgillito, giornalista Mediaset che a lungo ha lavorato a Video Star e collaborato con La Sicilia: con i suoi articoli ha tenuto alta l’attenzione su questo caso d’interesse nazionale.

Valentina è stata uccisa da un uomo che, senza averne diritto, ha deciso che la sua vita doveva finire in quel momento.

La giovane avrebbe detto al trentaseienne – soltanto per spingerlo a compiere una scelta ­– di essere incinta, confessione che ha scatenato il vile atto. Il caso viene immediatamente etichettato come suicidio. In verità, è Nicola Mancuso, con il quale Valentina aveva una relazione, ad aver inscenato un suicidio, per occultare l’atroce reato commesso. «Uno scellerato tentativo di infangare quello che era evidente, cioè che si trattava di omicidio», afferma Agnese Virgillito sulle intenzioni del trentaseienne, il quale, spiega, si è sempre detto innamorato di Valentina e per tal motivo dichiaratosi estraneo ai fatti.

La giornalista ha un’intuizione sul «delitto “vestito” da suicidio» – come viene definito dalla stessa sul quotidiano La Sicilia. Racconta di una giornata di forte pioggia davanti al Palazzo di Giustizia di Catania, quando nel corso di un dialogo avuto con il medico legale – molto scosso dalla morte di una ragazza così giovane ­–, chiede a quest’ultimo se avesse trovato qualcosa – «una traccia, un capello, un pelo» – tra gli effetti personali di Valentina Salamone. I vestiti che Valentina indossava la notte della festa non erano mai stati analizzati. «Da lì è partito tutto», racconta Agnese Virgillito. «Grazie agli effetti personali siamo arrivati alla verità», prosegue la giornalista.

L’indagine investigativa ha scoperto indizi e tracce che hanno condotto alla risoluzione del giallo e all’incriminazione per omicidio di Nicola Mancuso.
Quello che è mancato nell’indagine, chiarisce Agnese Virgillito, è stata l’intuizione. «Valentina urlava: “Io non mi sono mica impiccata!”». Oltretutto, «sul posto non sono mai andati né il sostituto procuratore di turno né un medico legale», chiarisce la giornalista, e la villetta non viene sottoposta a sequestro. Valentina presentava anche una vistosa ferita all’alluce, un elemento importante per comprendere la dinamica dell’accaduto, di cui nessuno si è accorto, agli inizi.

Valentina sognava di diventare un’assistente sociale, ma, malauguratamente, si era invaghita di un uomo più grande di lei, sposato e con tre figli.

La diciannovenne era diventata per lui «scomoda», un peso da «eliminare» – dirà lo stesso in una conversazione con i suoi amici. Il decesso viene, dapprima, ritenuto un caso di suicidio e per questo viene chiesta l’archiviazione. Eppure, qualcosa non torna. Valentina viene trovata appesa a una trave, con le mani attorno alla corda, come se avesse tentato di liberarsi. All’indomani del 24 luglio, la ragazza viene fatta ritrovare alla famiglia – chiamata dai carabinieri per recarsi sul luogo del delitto – in un sacco nero dell’immondizia, con ancora il cappio attorno al collo. La portano a casa, dove viene lavata con acqua calda e alcol, come è stato loro ordinato. Viene anche consigliato loro di bruciare i vestiti che Valentina indossava quella nefasta sera del 24 luglio, «perché porta male», testimonia una delle sorelle durante la trasmissione di Rai Tre “Amore Criminale”.

I familiari non credono che Valentina si sia suicidata e il padre presenta un esposto. Il caso viene nuovamente riaperto quando la Procura generale di Catania ha avocato a sé l’indagine, successivamente al ritrovamento di tracce di sangue di Nicola Mancuso, da parte dei Carabinieri del Ris di Messina, che «sono stati pietra miliare in questo caso», spiega al Corriere Etneo la giornalista Agnese Virgillito. L’imputato sconta già una condanna a 14 anni per traffico di droga.

Emanuela La Mela

Riguardo l'autore Emanuela La Mela

“Scienziata” della comunicazione e storica, nasce in un afoso agosto tropicale, poco prima della caduta del muro di Berlino. Cyndi Lauper e il jolly invicta resteranno sempre parte di lei. Nella vita si occupa di editing, correzione di bozze e giornalismo. Scrive di musica e cinema dal 2012. Non riesce a smettere di guardare Chi l’ha visto? e ama le cinéma français.

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