L’arcipelago dell’Etna: il turismo è lo strumento per rigenerare i luoghi

L’arcipelago dell’Etna: il turismo è lo strumento per rigenerare i luoghi

Molte città hanno perso le ragioni della loro esistenza. Costrette a una sopravvivenza forzata.

Come l’eco lontano di una festa. Città divorate da altre città, inglobate, risucchiate e condannate a eterne periferie. Sono tante le cause di questo processo involutivo che caratterizza molti centri – un tempo vivi e produttivi – delle aree interne. La modernità tecnologica e infrastrutturale ha trasformato questa ecologia di sistema, compromettendola irrimediabilmente.

Ma c’è l’opportunità di invertire questa tendenza, o quanto meno di curvarla diversamente. Magari sfruttando proprio la modernità e l’innovazione. Facendo riemergere alla luce del sole quel giacimento culturale, produttivo, artistico e paesaggistico che è stato per molti anni sommerso e sacrificato. Giacimenti diffusi, come un disegno a terra di una costellazione celeste. Oggi più che mai è necessario ritrovare quelle ragioni, senza nostalgia ma con un rinnovato senso dei luoghi e della nostra esistenza consapevole.

Il prerequisito per un progetto di rigenerazione è certamente quello della consapevolezza del paesaggio che ci ospita.

Una consapevolezza emotiva e scientifica su come il paesaggio si è modificato nel tempo, sulle stratificazioni che l’uomo ha imposto a questo fragile foglio chiamato “terra”, sulle metamorfosi politiche e teologiche, conseguenze delle modificazioni sociali e antropologiche, figlie di un’evoluzione tecnica e tecnologica legata alla produzione e al lavoro.

La consapevolezza deve essere un nuovo punto di partenza, ma per esserlo pienamente è necessario abbattere i pregiudizi e le superstizioni, indagando oltre le apparenze, per ritrovare quella “sacralità madre” che ha condizionato e strutturato i luoghi e gli uomini nel tempo. Abbiamo perso la via quando abbiamo pensato – per i nostri centri – di monumentalizzare la storia, di escluderla dalla modernità, di recintarla dentro una “riserva” (anni ’40). Abbiamo tentato di aggiustare il tiro quando abbiamo rotto il primo recinto ed esteso all’ambito più che all’oggetto le nostre attenzioni di tutela della storia e dell’identità (anni ’80). Oggi, la definizione europea del paesaggio (2000) estende, allarga lo sguardo verso una visione più sistemica, organica e complessa, enfatizzando proprio il concetto di consapevolezza e condivisone dei luoghi e mette le basi per una nuova rinascenza.

Il tema del turismo, inteso come esperienza, è una disciplina che possiede uno statuto utile per rigenerare le città.

Non si tratta di mettere in mostra ciò che c’è – spesso non esiste più un patrimonio evidente – ma definire un nuovo programma culturale che possa piano piano ri-svelare ogni cosa. Non è un compito semplice, nemmeno scontato ma semmai è l’avvio di un processo complesso che investe diversi settori strategici delle comunità: formazione, produzione, gestione.

Una complessità che impone un piano d’azione coordinato. Che ha bisogno di un’idea unificante che permetta allo stesso tempo, la possibilità di avere gradi di libertà e d’iniziativa utili a canalizzare energia. Un’idea unificante e inclusiva, rappresentativa e radicata nella memoria, capace di scavare nelle profondità più lontane della storia dei luoghi fino a determinare un filo conduttore comune.

La parte più complicata di tale processo è proprio l’individuazione della matrice, che determina le numerose piattaforme su cui impiantare il rinnovamento e la rigenerazione di un territorio. Per comprendere meglio tale ragionamento è necessario fare almeno un esempio. La città di Paternò può ripartire dal suo antico nome (Hybla), utile per “guardarsi” meglio e scoprire le sue risorse ancora sepolte e quindi individuare nuovi scenari di sviluppo. Queste consoliderebbero una memoria che inciderebbe nel sentimento collettivo. La donna diventerebbe il tema principale della città e con essa cambierebbe lo storytelling complessivo a partire da un’applicazione semplice, i nomi delle pizze nei menù, solo per fare un esempio. Questo determina il consolidamento e la consapevolezza dell’identità che come un domino interesserà le tante filiere produttive locali.

Ma non basta, serva tanto altro ma solo se c’è un piano strategico complessivo scritto dai commercianti, dagli intellettuali, dai produttori, dalla scuola, dall’associazionismo, dalla città. Un patto di complicità tra le parti e gli attori vivi della comunità. Utile anche per veicolare e attrarre flussi, risorse e interessi, senza disperdere ma al contrario governare e razionalizzare. La Fabaria, istituita recentemente, potrebbe essere quel filo conduttore che mette a sistema il patrimonio culturale, storico, artistico, monumentale, archeologico, naturalistico, produttivo e sociale che la città di Hybla-Paternò detiene inconsapevolmente. La Fabaria, una strada storica antichissima che rimetterebbe la città dentro un sistema reticolare alla scala geografica più vitale. Continuare a pensare alle città etnee come isole è un grave errore politico e culturale, serve una visione di costellazione o di arcipelago. Peccato per le tante resistenze inconsapevoli.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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