Visioni: dopo la metropolitana facciamo i metropolitani

Visioni: dopo la metropolitana facciamo i metropolitani

Abbiamo appena celebrato l’inizio dei lavori del tratto di metropolitana che, da Misterbianco, arriverà nel 2026 a Paternò.

Si compie – si spera – quel progetto visionario degli anni ’70 che prefigurava la città metropolitana come un nuovo organismo urbano alla scala territoriale. Una visione che si è consolidata negli anni anche se spesso è stata rallentata inspiegabilmente da interessi di parte, non sempre limpidi. Comunque, da quella parte di interlocutori che erano concentrati, più a difendere i confini comunali, che a sviluppare gli interessi di una comunità etnea in continua trasformazione. Ovviamente con argomentazioni spesso faziose e maliziose.

Visioni: dopo la metropolitana facciamo i metropolitaniOggi, quella che identifichiamo tutti come area metropolitana, che rappresenta uno spazio policentrico, composto da un’armatura della mobilità (internodale) che tiene insieme diverse realtà urbane, produttive, commerciali e dei servizi, è a pieno titolo il nuovo spazio da “governare” urgentemente e per questo restiamo in attesa delle scelte politiche regionali sul piano normativo, sul futuro di quello che furono le ex province.

Bisogna in questo senso superare la visione ottocentesca delle città, in riferimento alla loro forma e alle relazioni che instaurano reciprocamente, pensando a un sistema interconnesso e poroso che si lasci attraversare, generando un policentrismo dinamico, che delocalizzi i servizi, le opportunità e le risorse. La metropolitana, così come è stata concepita, ha questo scopo e dal 2026 (per essere ottimisti) si compie con l’attivazione della stazione di Paternò che si trova ad essere direttamente collegata all’aeroporto di Catania. Si compie un progetto che ha radici antiche.

Più volte abbiamo evidenziato che tutto questo avrà un senso solo se dalla stazione di Paternò – collocata a nord dell’abitato in zona Ardizzone – si potrà raggiungere le aree più a sud della città, puntando alla connessine con l’acropoli di Hybla verso ovest e al quartiere Scala Vecchia a est, passando per il centro cittadino adiacente al distretto scolastico che le scuole superiori rappresentano. Questo modello strategico di mobilità locale – se sviluppato adesso – potrebbe essere l’obiettivo delle prossime generazioni, come lo è stata la rete metropolitana di cui oggi si parla. Se la politica non semina oggi nulla raccoglierà domani. Oggi godiamo, in fin dei conti, del lavoro fatto molti decenni fa da uomini e donne visionari.

Ma nel breve tempo, chiedere il cerchio per collegare la stazione principale con le sue diramazioni periferiche già programmate (people mover) è indispensabile e improrogabile, preoccupa il silenzio generale sull’argomento. Ma preoccupa ancora di più il silenzio sulla programmazione che riguarda le trasformazioni delle aree adiacenti alla nuova stazione. Parcheggi, servizi, parchi, spazi commerciali e culturali. Se da una parte, la FCE (Ferrovia CircumEtnea) è già pronta per attraccare a Paternò, la città non è ancora pronta per assumere quel ruolo strategico che le viene attribuito. Un silenzio sull’argomento che non rassicura nessuno. E nemmeno le risorse dell’ex SIRU (un programma di risorse disponibili per Paternò e Ragalna di circa novanta milioni) sono state destinate per sostenere il programma di rigenerazione dello spazio urbano, che dalla stazione nuova si collega a corso Italia.

Questo gap, questa mancanza di attenzione dovrebbe essere il territorio privilegiato del dibattito politico. Lo spazio del confronto sul piano della dialettica civica, di pertinenza delle maggioranze e delle opposizioni (consiliari ed extra consiliari). Ma pare che il silenzio sia la modalità più utile per tutti, una prudenza – forse – figlia della paura. Tutti alla ricerca di temi più iconici, più mediatici, meno impegnativi. Questa è la lungimiranza della politica oggi? Crediamo di no, crediamo che qualcuno – da ambo le parti – trovi la voglia di costruire il futuro e non di subirlo passivamente. Ci sono tante opportunità che aspettano solo di essere svelate e praticate.

C’è da riconfigurare il sistema museale – inventarlo a dire il vero -; c’è da ridisegnare il sistema scolastico, con aggregazioni di tipo funzionale e non familiare; c’è da riconnettere le parti della città e svelare il suo patrimonio artistico, archeologico, monumentale, ambientale e antropologico – valorizzandolo e tutelandolo; c’è da potenziare e curvare il sistema sanitario e assistenziale. La nuova metropolitana, se accolta e supportata sul piano delle trasformazioni complessive urbane, può farci diventare metropolitani, cittadini di un luogo più aperto e innovativo, con nuovi orizzonti, nuove prospettive, soprattutto per le nuove generazioni.

Evitiamo di perdere quest’ultimo treno. In gioco non c’è solo l’ennesimo nastro da tagliare ma una città da rigenerare, una grande responsabilità per tutti, nessuno escluso, nemmeno per quelli che credono di non avere dirette implicazioni come gli struzzi silenziosi, le cornacchie petulanti e i serpenti senza volto. Non è mai colpa di uno ma di tutti, anche di chi osserva e aspetta.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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